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E.R. Medici in prima linea


Intervista del prof. Marco Ravaioli
docente di traduzione presso le università "LA SAPIENZA" e "LUSPIO" di Roma.

“We didn’t have the Mets, but we had the Brooklin Dodgers, we had Pole Grounds and Ebbet Field.” 
“Non avevamo motorini, ma avevamo i monopattini, le pistole a schizzo e non a laser.”
(Kramer vs Kramer – Robert Benton, 1979) 


L’inglese è la lingua della comunità scientifica e questo ha reso evidenti le grandi diversità culturali che esistono tra una certa ricercatezza di espressione, tipica della “formazione” europea, e la semplicità e concisione di quella anglosassone. Daniela Altomonte è tra gli autori dei dialoghi italiani di ER, il fortunato serial televisivo il cui sottotitolo, “Medici in prima linea”, già ci introduce a quei meccanismi di ricodificazione che si rendono necessari quando si vogliono restituire le peculiarità di un testo, filmico in questo caso, dovute non solo ad elementi lessicali ma anche a differenze di ceto sociale, cultura, razza. A lei chiediamo di parlarci del ruolo di traduzione e adattamento nella costruzione e nel successo di una operazione la cui difficoltà è accresciuta se ci si muove in un terreno minato quale quello della medicina, dove, tanto per dirne una, le sigle vengono pronunciate secondo la “fonetica” alfabetica delle lettere co-stitutive, mentre le “vere” abbreviazioni, gli acronimi e le forme contratte sono pronunciate come altret-tante parole o dove troviamo ricorrentemente le cosiddette “common-core words” - l’aggettivo “fast”, “veloce”, che da sostantivo “fast” diventa “digiuno”, mentre in “color-fast” è “colore resistente” e allora “acid-fast bacteria” sono “batteri acido-resistenti”…



COMINCIAMO, TAUTOLOGICAMENTE, DALL’INIZIO…CI PUÒ SPIEGARE IL MECCANISMO “PERVERSO” ATTRAVERSO IL QUALE SI “RICODIFICANO” I TITOLI? CHI È IL RESPONSABILE, AD ESEMPIO, DELLA TRA-SFORMAZIONE DI “PERSONA” DI BERGMAN, CHE NELLA VERSIONE DISTRIBUITA IN BRASILE È “QUAN-DO AS MULHERES PECAM”? O, PER RESTARE ALLA MEDICINA, SI FA PER DIRE, DI “THE HOSPITAL” IN “ANCHE I DOTTORI CE L’HANNO”?

Solitamente i titoli vengono decisi dal Direttore del Marketing, in concerto con il Capo Ufficio Edizioni. Ma è una regola che non viene seguita sempre e per tutti i prodotti.

IN CHE MISURA SI DEVE RINUNCIARE ALLA PROPRIA IDENTITÀ CULTURALE? “WAFFLE” PUÒ DIVENTARE TRANQUILLAMENTE “PIZZA”? 
L’incontro fra due culture diverse, distanti fra loro non è mai un atto “indolore”. A qualcosa sarà necessario rinunciare, arriverà sempre un momento in cui il Dialoghista sarà obbligato a trovare un “compromesso”. Il nostro compito è infatti quello di rendere un prodotto estero quanto più possibile fruibile dal pubblico italiano, che deve essere “catturato” dal dialogo per “farsi catturare” dalla storia. Su 10 spettatori italiani, quanti sanno cos’è un “waffle”? Uno? Due? Se il dialoghista lasciasse il termine originale, dal momento che la traduzione letterale, “cialda”, aiuta ben poco, obbligherebbe lo spettatore a “pensare” cosa mai possa essere quello che stanno mangiando in quella scena. “Pizza” è dunque la soluzione più indolore, arriva subito, e permette allo spettatore di godersi la scena senza lambiccarsi il cervello. Questo, ovviamente, sperando che il nostro “waffle” non sia in primo piano… 

COME RIUSCITE A DIFFERENZIARE DA UN PUNTO DI VISTA LESSICALE, SINTATTICO E FONETICO L’INGLESE E L’ITALIANO DEI VARI PERSONAGGI? RISPETTATE LE INTENZIONI DEI REGISTI?
Una delle difficoltà più grosse che si incontrano adattando un film (o un telefilm) è trovare un succedaneo dello slang, dal momento che la lingua italiana non prevede niente di simile. Non condivido la scelta di usare i dialetti per evidenziare la differenza socio-culturale dei vari personaggi. Non uso dialetti perché nel nostro paese questo potrebbe essere interpretato come “non politically-correct” (salvo esigenze di copione). Per differenziare personaggi fortemente caratterizzati si ricorre a tentennamenti, a termini colloquiali, ri-dondanza. I “cattivi” parlano un italiano migliore per sottolineare il loro ruolo (comando/intelligenza=cultura) si uti-lizza una consecutio temporum più complessa, e si fa un uso più selezionato del vocabolario. (es.: “plea-se”, diventerà, invece di “prego”, “mio dovere”, o simili) L’arduo compito dell’adattatore (in guisa di “mediatore culturale”) è cercare di “entrare nella testa” di co-lui che ha ideato e redatto la sceneggiatura originale, per coglierne l’essenza e le sfumature, traducendo il tutto in favore di un pubblico appartenente ad una griglia concettuale spesso molto distante. Se lo spettatore dimentica che sta guardando un doppiato, il Dialoghista ha raggiunto il suo obiettivo.


CHE TEMPI AVETE PER COMPLETARE L’EDIZIONE DI UN PRODOTTO DA DOPPIARE?
Impossibile fornire dei dati: ogni lavorazione ha i suoi tempi. Posso solamente dire che ci viene raramente concesso il tempo di fare una passeggiata o di prendere un caffè al bar! 

UTILIZZATE I NOMI GENERICI DEI FARMACI O QUELLI COMMERCIALI? SE IL TESTO PERDE IN EQUIVALENZA FORMALE SI GUADAGNA IN QUELLA FUNZIONALE? 
Di solito si preferisce non usare il norme commerciale di un farmaco, ma questa non è affatto una regola. Se –ad esempio- si parla di “Prozac”, indubbiamente è più facile scrivere genericamente “antidepressi-vo”, che sicuramente “arriva” al pubblico italiano. Nel filmato originale, invece, di solito dicono il nome commerciale del farmaco per far prima. 

DI FRONTE A SCENE PARTICOLARMENTE “GRANDGUIGNOLESCHE”, ATTUATE QUELLO CHE GLI INGLESI CHIAMANO “MITIGATION OF TRAGIC OVERTONES”, UNA SORTA DI AUTOCENSURA NEI CONFRONTI DEL-LO SPETTATORE?

Non abbiamo una cultura di auto-censura, anzi semmai il contrario. Per quanto possibile cerchiamo di conservare tutto ciò che è stato creato dall’autore del testo originale. 


IN CHE MISURA VI AVVALETE DELLE COMPETENZE DEI VOSTRI CONSULENTI MEDICI?
Per la serie E.R. sono stati preziosissimi aiuti tutti gli specialisti che ho la fortuna di conoscere (grazie an-che al lavoro di mio marito). Ho avuto esigenza di sentire più medici per arrivare ad una buona trasposizione in italiano, da sottoporre poi al Consulente Medico ufficiale della serie, il dottor Eugenio Rosselli, con il quale si visionava ogni sin-golo episodio per raggiungere il risultato ottimale. Come si sa, i medici anglosassoni usano moltissime forme contratte per indicare farmaci, analisi e trat-tamenti. In italiano non era materialmente possibile conservarle tutte per ovvi motivi di lunghezze e sinc. Uno degli apporti preziosi del nostro Consulente, è stato ad esempio quello di indicare cose potevamo omettere e cosa era invece indispensabile per mantenere la “salute” del “paziente virtuale”. 

TRASFORMATE MAI I PAZIENTI IN “CASI” – CASI CHE VENGONO RICOVERATI, PAZIENTI CHE POSSONO ESSERE “RIPORTATI”?

Come già detto, le intenzioni degli autori originali non vengono mai stravolte. Non sta a noi trasformare un paziente (con le sue specificità et problematiche) in un caso-icona di tutta una categoria di disturbi. Ad esempio, il paziente affetto da un determinato tipo di diabete non diventa Il Diabetico per antonoma-sia. Ovviamente, trattandosi di fiction, non è escluso che in qualche puntata gli autori possano aver adottato una strategia di questo tipo. Voglio concludere con una nota “leggera”: dopo aver adattato molti episodi di questo telefilm (dalla prima alla quarta serie, con una sola puntata della quinta) che a mio avviso è uno dei prodotti migliori che si sono visti in tivù negli ultimi anni, mi trovo a colloquiare molto più agevolmente di prima con medici e specialisti.


A QUANDO UNA LAUREA IN MEDICINA AD HONOREM PER UNO DEGLI AUTORI DEI DIALOGHI ITALIANI DI E.R.? 



 


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